Le raccolte storiche
La storia del museo lega il suo nome al fondatore della Galleria - il barone Giorgio Franchetti (Torino 1865 - Venezia 1922) - che dopo anni di appassionato impegno come mecenate e collezionista, donò allo Stato italiano nel 1916 l’edificio stesso, da lui acquistato e restaurato per farne la sede di una raccolta d’arte, e il nucleo primario delle proprie collezioni private, ampliate da un ulteriore lascito degli eredi nel 1923. Alle opere del lascito Franchetti, che includono tra i dipinti capolavori di scuola veneziana e fiamminga, pezzi scelti di maestri rari e minori - soprattutto toscani - e opere rinascimentali di scuola lombarda, veneta, emiliana, furono aggregati numerosi beni demaniali prescelti dall’allora Soprintendente Gino Fogolari e importanti capolavori provenienti da complessipubblici o ecclesiastici veneziani non più esistenti.
Dal 1927, anno dell’apertura al pubblico, la Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro è un museo nazionale che conserva non solo la ricca collezione Franchetti, ma anche importanti capolavori di proprietà statale – sculture, bronzi, medaglie, affreschi, cicli pittorici e arti decorative - che raccontano la multiforme e affascinante storia di Venezia nel corso dei secoli, con particolare riguardo al periodo rinascimentale.
Tra le opere di maggior prestigio della pinacoteca Franchetti si segnalano il Ritratto di Marcello Durazzo di Van Dyck, la Venere allo specchio di Tiziano, la Venere dormiente di Paris Bordon, le due Vedute veneziane di Francesco Guardi e, sempre tra i dipinti provenienti dal lascito originario, il San Sebastiano di Andrea Mantegna, capolavoro di maggior spicco del museo, ancora custodito entro il suggestivo vano architettonico rivestito di marmi che il barone aveva concepito per isolare l’opera in una dimensione sacrale.
Un rilievo storico d’eccezione, nel panorama museale veneziano, rivestono gli affreschi frammentari sistemati nel portego del secondo piano, che documentano episodi cinquecenteschi di un tessuto edilizio urbano, connotato da ricche decorazioni murali esterne. Tra i più significativi per la storia della pittura veneziana del XVI secolo sono i resti di quelli realizzati dal giovane Tiziano nel 1508 sulla facciata laterale del Fondaco dei Tedeschi, qui ricoverati dopo il distacco del 1967.
Al progetto museografico originario si deve anche l’annessione di un nucleo cospicuo di dipinti olandesi e fiamminghi, comprendenti nature morte, paesaggi e scene di genere, già parte delle raccolte delle Gallerie dell’Accademia, nonché la presenza di alcuni teleri con episodi mariani realizzati da Carpaccio per la Scuola degli Albanesi.
Di particolare importanza è anche la raccolta di sculture rinascimentali, provenienti per la maggior parte da chiese soppresse o da monumenti demoliti, che annovera pezzi di notevole pregio come il Doppio ritratto di Tullio Lombardo o la lunetta di Sansovino con la Madonna del bacio (deposito I.R.E.), mentre tra i bronzi si segnalano i grandi rilievi di Andrea Riccio provenienti dalla chiesa di Santa Maria dei Servi, quelli di Vittore Camelio e il raffinatissimo Apollo di Pier Jacopo Bonaccolsi detto l’Antico.
Una vasta sezione dedicata alla ceramica veneziana trovò spazio in alcune sale espositive inaugurate nel 1992 nell’attiguo Palazzo Duodo, già acquistato dalla Stato nel 1918 a integrazione della munifica donazione del barone Franchetti. Accessibile su richiesta a studiosi e specialisti è inoltre il medagliere la ricca collezione numismatica che raccoglie monete veneziane di ogni epoca, esemplari bizantini, arabi e di altri paesi europei.
A Giorgio Franchetti, si devono anche i lavori di riassetto monumentale del cortile e dell’atrio al pian terreno con la sorprendente “installazione” del mosaico pavimentale in opus sectile, ideato e in buona parte realizzato dal barone stesso ad evocazione delle basiliche paleocristiane e degli esempi marciani, con la vera da pozzo quattrocentesca scolpita da Bartolomeo Bon (1427), restituita alla sua originaria ubicazione dopo essere stata riacquistata sul mercato antiquario.
Nella corte riposano, sotto un cippo di porfido - a ideale custodia dell’edificio e delle sue sorti - le ceneri del barone.